Caratteristiche e potenzialità della nuova piattaforma americana
Immaginate una stanza, virtuale ovviamente.
Immaginate diverse persone che parlano, intervengono, interagiscono.
Immaginate conversazioni infinite su una varietà altrettanto infinita di contenuti e tematiche, attuali e non.
In poche parole, immaginate Clubhouse, il nuovo social che sta spopolando in tutto il mondo.
Nato dalla mente di due ex ingegneri di Google (sicuramente geniali), Paul Davison e Rohan Seth, a dicembre la sua quotazione sfiorava i 100 milioni di dollari. Già una bella cifra, che sta crescendo ancora.
L’invenzione è datata aprile 2020, in pieni pandemia e lockdown (non che ora la situa sia differente).
Ma cos’ha di tanto speciale questo Clubhouse?
La voce. Ebbene sì, un social che si basa non tanto sulle fotografie, video e parole ma solo ed esclusivamente sull’audio. Invenzione molto strana, ma che affonda le sue radici proprio nel periodo di nascita: un momento dove la vita e le imposizioni ci hanno costretto a ripensare al concetto di socialità.
No incontri dal vivo, ma solo ed esclusivamente virtuali.
E allora perché non chiacchierare?
Verba volant, scripta manent.
Clubhouse è sicuramente controcorrente rispetto a questa massima latina, dove il concetto di labilità delle parole viene espresso dalla metafora del volo.
I social, fino a poco tempo fa, hanno reso le immagini, le parole e i video qualcosa di sempiterno, delle piante sempreverde che crescono rigogliosamente all’interno di queste giungle di informazioni e che rimangono forever online (a meno che non vengano volutamente cancellate).
Un aspetto che in realtà era già stato messo in discussione dall’introduzione delle stories di Instagram, con durata H24 e successiva scomparsa.
Di conseguenza il colosso dei social ci ha poi ripensato, inventandosi le stories in evidenza che rendono fruibili questo tipo di contenuti anche dopo le 24 ore.
Ma Clubhouse è diverso, Clubhouse si basa sulla voce, da sfruttare in tempo reale nelle stanze. Un social senza tracce, tutto ciò che viene detto rimane solo nella memoria delle persone che partecipano alle room. Un rischio, forse, in un’ottica di comunicazione sensibile dove ogni singola cosa detta deve tenere conto di diversi aspetti della realtà, quali l’uguaglianza e il rispetto per gli altri.
Ed è qui che diventa centrale la figura del moderatore: ogni cosa sbagliata, ogni insulto o commento inappropriato deve essere ripreso nella maniera corretta. Non possiamo tornare indietro, non possiamo permettere che la libertà di parola vada a ledere gli altri. Quindi fondamentale è il buon senso, far buon uso della possibilità di parlare senza arrecare danni che, come abbiamo detto, non lasciano tracce. Scritte, ma nella memoria delle persone sono per sempre. E non è forse questo ciò che importa e che preoccupa più di tutto?
Non solo su Clubhouse.
Parole, parole, parole.
Sì, ma solo su invito.
Un ritorno al concetto di élite che rende Clubhouse estremamente fuori dalle righe e diverso rispetto a tutti gli altri social, che sparano in un certo senso sulla massa.
Ma soprattutto, un ritorno al concetto di qualità. Non importa parlare a tutti, ma importa parlare alle persone giuste.
Se penso a queste stanze, mi immagino all’interno di gruppi dove si parla di argomenti che realmente mi interessano, dove qualcuno che mi conosce mi ha invitato perché sa di questo mio interesse. Non sento nulla che riguardi qualcosa fuori dai miei ambiti: e questo rappresenta il potenziale di questa piattaforma.
Un potenziale che può essere sfruttato anche dai brand, attraverso la creazione di stanze virtuali dove chi lavora all’interno dell’azienda parla direttamente con gli utenti trattando diverse tematiche, più o meno legate alla propria attività.
Un potenziale e un utilizzo che stanno ancora facendo riflettere i manager delle grandi aziende, che hanno paura di fare questo salto nel vuoto. Le performance, qui, non possono e non vogliono essere costruite, tutto è fatto a braccio e in maniera spontanea.
Non ci sono approvazioni, non ci sono terze figure, non ci sono rework o videomaker che possono fare magie incollando pezzi di interviste e interventi.
Qui si è soli, con le nostre conoscenze e con la nostra personalità. Come dice il manifesto della piattaforma: “quel che succede su Clubhouse, rimane su Clubhouse”. Un po’ come alle feste tra amici. Ma qui molto più plateali.
Siamo pronti per tutto questo?
Pensiamoci, abbiamo ancora tempo.
Intanto, date un’occhiata anche a questo articolo sul Sole 24 Ore che contiene un’analisi approfondita e molto interessante del mondo Clubhouse.