Sappiamo già chi ha vinto
Inizio questo articolo raccontandovi innanzitutto che a me gli skinny jeans sono sempre piaciuti. Moda o non moda, a me stanno bene e fanno sentir bene con me stessa. Anche a Brigitte Macron piacciono, se li è messi il mese scorso durante un intervento presso “L’Institut des Vocations pour l’Emploi”, lanciando una delle tendenze della moda estate 2021. Noi stiamo bene così e ho imparato che alla fine è tutto ciò che conta realmente nella vita, cioè stare bene con se stessi.
Ma senza divagare troppo, arrivo al punto cruciale del discorso mediatico delle ultime settimane: a Kim Jong-un gli skinny jeans non piacciono.
Oltre a non indossarli, li ha proprio vietati costringendo i nordcoreani skinny jeans lovers a rinunciarvi. E non è finita qui: ha bandito anche una serie di altri elementi, come il taglio mullet anni ‘80 e i piercing.
Delle limitazioni che a me personalmente han fatto molto ridere ma allo stesso tempo riflettere data la complessità della situazione e soprattutto del significato di ciò che sta dietro queste proibizioni, non nuove tra l’altro.
Quando i dittatori diventano fashion influencer (ma non ne abbiamo bisogno)
La storia dei divieti nel mondo asiatico ha radici molto antiche, e non riguardano solamente la Corea del Nord che rimane comunque la protagonista in questa triste storia.
Il divieto di Kim, infatti, ricorda quello che successe in Cina durante la Rivoluzione Culturale di Mao Zedong. Dal 1966 al 1976, quando il caro vecchio Mao aveva pieno potere, ogni forma di estrosità fu assolutamente vietata al popolo cinese. Bisognava vestirsi uguale, in maniera sobria e senza alcun tipo di distinzione.
La Cina, pian piano, si è poi evoluta (con il successore di Mao abbiamo l’inizio dell’apertura del paese), mentre la Corea del Nord no, lei è rimasta coerente con se stessa.
Nel 2017 un giornalista finlandese ha dichiarato che in Corea esiste una lista di acconciature consentite e approvate dal governo (15 maschili e 15 femminili). Il parrucchiere sbaglia e finisci con un taglio vietato? Vieni spedito nei campi di lavoro, chiaramente.
Se torniamo poi alla questione degli skinny jeans, la storia in realtà è già sentita: in passato essi sono stati oggetto di polemiche in quanto erano considerati come simbolo di distinzione di classe (vietatissima in uno stato comunista).
In generale, skinny o no, i jeans sono un prodotto simbolo occidentale, americano di nascita, che non piace proprio.
In uno stato totalitario, dove a livello ideologico abbiamo idee di matrice comunista, la lotta al consumismo è all’ordine del giorno. La recente legge (su cui ancora ridacchio mentre scrivo) è proprio simbolo ed essenza di questa politica oppressiva, un’arma contro il capitalismo occidentalizzato. Citiamo anche il titolo del quotidiano di stato coreano: “dobbiamo diffidare anche del minimo segno dello stile di vita capitalistico e lottare per sbarazzarcene”.
Quello che fa Kim non è nient’altro che allontanare la sua nazione dal consumismo, dallo stile di vita occidentale attraverso una serie di divieti che abbracciano diversi ambiti, dai vestiti alle abitudini quotidiane.
Momento riflessione
Ora, la Corea del Nord è una dittatura e Kim è chiaramente un dittatore, rosso fino al midollo osseo. Fin qui, nessun dubbio.
Abbiamo anche capito che c’è una lotta al consumismo, con una serie di divieti che continuano ad essere imposti.
Quello che però mi fa riflettere più di tutto è l’incoerenza alla base di tutto, l’idea che Kim vieta il capitalismo alla sua popolazione ma allo stesso tempo ama il basket, americano fin dalla nascita. E quasi sicuramente, durante la propria giornata, Kim si appoggia a delle abitudini e consumi che sono collegabili al capitalismo.
Se credi in un’ideologia che vuoi che venga rispettata, allora la applichi per primo. Punto. Perché se no siamo davanti al solito “predicare bene, razzolare male” e ai “comunisti con il Rolex” che cantavano J-Ax e Fedez.
Altra cosa che mi chiedo: possiamo davvero, nel 2021, combattere il capitalismo? Pensare seriamente di andare contro un colosso che ormai è ovunque, un Grande Fratello di cui non possiamo fare a meno? Che ci controlla, che ci spinge ad agire.
Io credo di no. E credo anche, che nel 2021, basare una nazione su un’ideologia arcaica e su dei divieti palesemente inutili (come quello degli skinny jeans) sia un problema serio, che andrebbe risolto. Ci sono cose ben più importanti su cui focalizzarci.
Ci sono i diritti umani da rispettare. C’è la libertà di pensiero e di parola per cui combattere. C’è la diversità da proteggere.
Nel 2021 una dittatura non ha senso di esistere. A prescindere dall’orientamento politico, gli assolutismi sono sempre stati ingiusti anche in passato. Andrebbero eliminati.
Non so, per me non abbiamo ancora raggiunto la maturità umana.
Chiaramente questi sono una serie di spunti di pensiero personali. Discutibili ma ripeto, del tutto personali, forse anche un po’ dettati da un’innata tendenza a pensare le cose in modo utopico, immaginando come il nostro mondo possa essere migliore.
Concludo dicendo: se fossi a Miss Italia, risponderei anche io con “vorrei la pace nel mondo”.