How will we live together?

How will we live together?

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Socio

15 agosto gita alla 17esima Biennale di Architettura.


Dopo il lungo periodo di vita culturale quasi azzerata, arrivare in treno in una città museo come Venezia è un toccasana per la mente e per il cuore.

Non solo per il valore in sé della Biennale ma per il “fattore umano” che va tenuto in considerazione.


La Mostra Internazionale comprende opere di 114 partecipanti provenienti da 46 Paesi con una maggiore rappresentanza da Africa, America Latina e Asia e con uguale rappresentanza di uomini e donne.


Il tema risulta subito attrattivo, più che mai coinvolgente in questo periodo covid/post covid, al limite dell’ironia visto l’isolamento vissuto: “Come vivremo insieme” How Will We Live Together.

Un argomento importante prima della pandemia ma che ora ha una maggiore urgenza e rilevanza.


Ovviamente in un mondo di crisi e cambiamenti climatici, di instabilità politiche mondiali, di disuguaglianze razziali, sociali economiche e nel momento di risveglio da una pandemia globale, chiederci come vivremo insieme su questo pianeta ha ragione d’essere.


Il curatore Hashim Sarkis, architetto libandese, si interroga allargando la platea dei pensieri e contributi, coinvolgendo pensatori, studiosi di discipline apparentemente lontane dall’architettura (dalla biologia all’informatica, alle neuroscienze) oltre ad artisti, filosofi.

Esce dal recinto dell’architettura e del designer per offrirci una Biennale ampia, multidisciplinare e complessa, ma chiara!

Biennale articolata, da affrontare con lentezza dove però la chiarezza è tangibile: tutto è organizzato secondo un percorso libero e immaginifico ma racchiuso entro una logica ferrea. 


La logica tracciata da Sarkis è quella delle “Scale” ovvero aree tematiche che vanno dal micro al macro: l’individuo, le abitazioni, le comunità, il territorio e il pianeta.

I progetti esposti spaziano dall’analitico al concettuale, allo sperimentale, al testato e provato e all’ampiamente diffuso. 

Ognuna di queste “Scale” è a sua volta affrontata attraverso una serie di temi ed è ospitata nelle singole stanze presenti negli edifici e degli spazi della Biennale.

Ognuna completa la domanda di partenza: “Come vivremo insieme”, tra esseri diversi, come nuove famiglie, come comunità emergenti, attraverso i confini e come un unico pianeta. 

Nell’architettura ci sarà la vera connessione che esiste tra vita, responsabilità, coscienza e arte. 


La mostra è “difficile”, con pochissime concessioni ad allestimenti spettacolari. Le “Scale” sono ben delineate e chiaramente affrontate, senza tanti giri di parole. 

Ci si può quindi divertire a perdersi nei pensieri provocati dai singoli progetti ma a livello di percorso, di pensiero generale, ci si ritrova sempre.

Ogni progetto ha una storia da scoprire attraverso le didascalie oppure, ancora meglio, con il servizio di catalogo parlante che vede in ogni spazio delle guide preparate a cui chiedere informazioni sui lavori esposti. Ragazze e ragazzi bravissimi, poco interpellati ma desiderosi di raccontare. Narratori formati, appassionati che ti accompagnano in questo viatico visivo.


Il mio percorso ha rispettato la traccia filologica: prima le tre “Scale” all’Arsenale poi le due “Scale” ai Giardini, in osservanza al curatore che dettava indicazioni nella sua lectio magistralis.


“Chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme”, ha detto Sarkis “Insieme come esseri umani che, nonostante l'individualità crescente, desiderano ardentemente connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e reale (Among Diverse Beings). Insieme come nuovi nuclei familiari alla ricerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi (As New Households). Insieme come comunità emergenti che reclamano equità, inclusione e identità spaziale (As Emerging Communities). Insieme oltre i confini politici per immaginare nuove geografie di associazione (Across Borders). Insieme come pianeta che sta affrontando crisi che esigono un’azione globale affinché tutti noi continuiamo a vivere (As One Planet)”.


Io ci ho trovato tanta Arte, soprattutto nella prima e ultima “Scala” ovvero nel micro e anche nel macro (dove si parla di pianeta e l'universo), forse più arte che architettura. L’arte si presenta all’ingresso all’Arsenale con un baldacchino di nuvole sonore (Grove di Philip Beesley), paesaggio metafora della città aperta e senza barriere.


Ma anche tanta Scienza con gli edifici probiotici, realizzati con pareti porose e organiche (di David Benjamin di The Living), le struttura architettoniche create dall’intelligenza artificiale sulla base dei segnali neurologici del nostro cervello (Sense of Space di Refik Anadol con Gokhan S. Hotamishgil).

E tanta Tecnologia, con senso salvifico, ad arginare la crisi ambientale creata e continuamente alimentata come nella proposta del Self Assembly Lab dell’MIT (Building With Waves), che ha ideato un metodo per spostare la sabbia del fondo del mare usando la forza delle onde per salvare territori che saranno presto sommersi, come le Maldive. 


Le situazioni che mi hanno maggiormente coinvolto ed emozionato sono sempre quelle legate ad allestimenti performativi o costruzioni con materiali naturali che ti permettono di entrarci e viverle.

Sono affascinata dalla costruzione semplici, dalla versatilità di un vivere nomade. Dalla capacità di sviluppare soluzioni abitative legate alle origini sia nella forma che nell'impiego di materiale.

L’edificazione di origine, primordiale ed eterna nella costruttività nonostante l'imperversare tecnologico.


Nello specifico l'installazione di Aravena: un muro circolare fatti da tronchi scortecciati grezzi ricostruisce il luogo dove tradizionalmente vengono tenuti i negoziati tra le due comunità cileni e mapuche.


Il Ballon frame degli Stati Uniti: il telaio ligneo. Tecnica edificatoria democratica facile da costruire e fuori dai “temi architettonici” e legittimata in questa edizione.


Il padiglione delle Filippine con quella biblioteca in legno espressione di autocostruzione comunitaria.


Il padiglione della Danimarca divertente nella sua riproposta della “casa dei sogni”, quasi una sorta di Domus Romana con vasche d’acqua, sedute, tisane. Una dimensione olistica dell'architettura.


l Padiglione del Giappone per la sua particolare modalità espositive. L’azione del curatore semplice e complessa allo stesso tempo ha smontato una casa tradizionale di Tokyo,e l’ha trasportata ed esposta esibendo i suoi elementi costruttivi, la sua storia ed un suo possibile futuro.


Alla fine della giornata il quesito iniziale torna: saremo in grado di realizzare uno stile di vita pacifico, inclusivo per tutti gli esseri viventi che popolano il pianeta, ma anche rispettoso degli individui che chiedono equità, solidarietà, giustizia e dell’eco-sistema? 

Nell’immediato quando esci dalla Biennale di Architettura 2021 ti senti diverso da come sei entrato, forse speranzoso che l’architettura “salverà” il mondo.