Learning by doing aka imparare facendo, ma anche vedendo ed esplorando.
Una parte imprescindibile del nostro lavoro, infatti, è guardare con attenzione quello che ci sta attorno. Esattamente come e quanto viaggiare apre la mente e, in un certo senso, ogni viaggio si trasforma sempre in un momento di formazione.
E badate bene, io per viaggio mi riferisco a quei momenti in cui si scoprono cose, mondi lontani dal proprio -e non per forza in termini di distanza- non alla vacanza alle Baleari dettata dallo stare orizzontali in epoca COVID (anche se tutto sommato potrebbe essere un interessante esperimento sociale da fare, di questi tempi).
Quando multisettorialità è sinonimo di ampia competenza.
Lavorare per realtà di diversi settori è un valore aggiunto; vediamo progettualità ed esempi sempre differenti, e da essi prendiamo spunto estrapolando best e worst practice.
Ma anche la profonda specializzazione di un determinato settore è in egual modo importante. Il nostro lavoro vede la presenza di entrambe queste casistiche.
Le nostre case histories spaziano, dal settore del design a quello della moda, passando per l’industriale (siamo sempre e comunque bresciani) arrivando fino al beverage. Ma se c’è un’area in cui nella storia abbiamo avuto davvero tante progettualità è il settore del lighting.
Un incontro fortunato, diversi progetti insieme, tanti anni di esperienza, e adesso per noi costruire un codice parlante di un catalogo prodotti, definire il grado di protezione IP65 o sapere la differenza tra un fascio di luce spot e un wide flood è normale amministrazione.
Si può dire che per noi non sono più un segreto i meccanismi di questo speciale mercato: il saper trattare, ad esempio, la settorialità di un apparecchio architetturale rispetto a quella di un progetto per il lancio di un prodotto decorativo. Il portare un valore aggiunto, da parte nostra, è facile come cambiare una lampadina (ma quanto sono simpa?!).
Quando anche la mono-settorialità è IL valore aggiunto.
Leonardo da Vinci sezionava i cadaveri per imparare l’anatomia umana, noi ci accontentiamo di vedere in stand una luce a 3000K emessa da apparecchi lineari ad incasso con alimentatore da remoto. Questo sempre per tornare all’imparare facendo, o guardando.
In tal senso, in questi anni, niente è stato così utile per noi più della partecipazione alla fiera di settore più importante. E attenzione alla parola partecipazione, perchè nel mio vocabolario è sinonimo di spionaggio industriale, spesso camuffato dalla definizione di ricerca e sviluppo. Hehehehehehe (risata malefica). Mi riferisco a quel grande bacino di formazione, indagine dei trend, esperienza sul campo che è Light + Building.
La cotoletta farcita più buona che abbia mai mangiato.
Ok, è una metafora. Ma mi serviva per dire che non puoi lavorare per un’azienda che opera nel settore lighting se non sei mai stato almeno una volta a Light + Building, e hai potuto vedere dal vivo tutto quello che il meglio del settore può offrire. Ogni azienda che produce apparecchi illuminanti che si rispetti brama e vede come punto di arrivo (o di partenza per il salto di qualità) l’avere uno stand proprio alla fiera che si tiene ogni due anni a Francoforte.
Un momento per noi di formazione, di ispirazione, di estensione dei contatti, di grande fatica e mal di piedi (come per ogni fiera) ma anche di bagagli che poi ci portiamo dietro e trasmettiamo ai clienti, e che rendono sempre più fluido e semplice il nostro lavoro di consulenza in questo settore e non solo.
Inutile dire che ogni occasione è buona per andare in gita, soprattutto quando a cena si può mangiare una cotoletta ripiena di formaggio prosciutto e crauti.
E per questo non vedo l’ora che arrivi marzo 2022.