Storia digitale del mondo virtuale/1

Storia digitale del mondo virtuale/1

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Copywriter & Concept Writer

Non vorrei iniziare con un incipit banale, ma lavorando nella comunicazione trapelano due vie al netto di questa pandemia. Una direzione muove verso l’emozione: qualsiasi brand, che sia di prodotto o servizio, si muove compatto lungo la linea amica dell'empatia. Lavazza, Foxy, Unipolsai, Enel, Parmacotto abbattono la distanza con il consumatore, virando il dialogo verso una dimensione inclusiva e comunitaria. Tutti ci ritroviamo in una situazione non ordinaria, quindi tutti siamo coesi e con un bisogno estremo di credere in una pronta ripartenza. Un appiattimento totale dell’output, ovviamente, che non differenzia più una scatoletta di tonno da un conto in banca. 

La seconda strada è un attimo più complessa e meno esposta. Forse perché è quella che, nonostante tutto, non ha ancora trovato una soluzione facilmente praticabile. Il grande dilemma che serpeggia e che non trova pace in una risposta definitiva è nella natura stessa della pandemia. Se il reale comporta problemi di varia natura, in primo luogo sanitari seguiti da quelli sociali, è in qualche modo stringente la necessità di integrare il reale con il virtuale. Con buona pace delle sfilate in streaming e concerti in diretta su Instagram, la questione è un attimo più complicata e ha una storia travagliata alle sue spalle, un presente in divenire e un futuro che si prospetta roseo. La realtà virtuale, che andremo meglio a definire nella seconda parte dell’articolo, è parte dell’immaginario di qualsiasi persona nata dagli anni ‘80 in poi in varie forme. Letteratura fantascientifica, film e gaming ne hanno attinto a piene mani, in un intreccio futuristico tra Hal 9000 e Google Glass. Mai ben definita, un po’ nebulosa (se non per i pro, ovviamente) è avvolta in un alone di poca informazione proprio perché il termine è entrato nel vocabolario comune prima ancora delle sue applicazioni.

Andiamo, quindi, a fare un po’ di chiarezza sul tutto. Non vogliatemene, userò inglesismi in abbondanza per necessità.


Con Virtual Reality (VR) ci si riferisce a una realtà tridimensionale immersiva, interattiva, multisensoriale, centrata sullo spettatore, con ambienti digitali generati grazie a una combinazione di tecnologie dedicate. Tre attori quindi: il soggetto che fruisce dell’esperienza, gli ausili esterni (visore, dataglove ecc ecc) e la computer graphic. Data per assodata la definizione, l'attuale sviluppo della tecnologia della VR sta avvenendo a una velocità senza precedenti. I sistemi e le applicazioni del settore sono rilasciati su base giornaliera o settimanale, ma la sua storia ha inizio subito dopo la seconda guerra mondiale. Il padre putativo, riconosciuto all’unanimità, è Ivan Sutherland. Durante la sua ricerca iniziale sulle tecnologie immersive, Sutherland scrisse “The Ultimate Display” nel 1965. Questo paper, in cui sostenne la possibilità dell’ingegnerizzazione di esperienze virtuali multi-sensoriali, pur diventando negli anni un modello fondamentale per la comprensione del concetto di realtà virtuale, fu solo il primo dei contributi che Sutherland diede al mondo della VR .

L’anno successivo, infatti, iniziò a lavorare su quella che poi verrà chiamata Spada di Damocle, il primo sistema di realtà virtuale realizzato in hardware non

in concetto. L’inizio del tutto. Il nostro Ivan costruisce un dispositivo considerato come il primo Head Mounted Display (HMD). Supportava una vista stereo aggiornata correttamente in base alla posizione e all'orientamento della testa dell'utente. Una rivoluzione (ingombrante). 

Gli anni ‘70 e ‘80 sono un groviglio di sperimentazioni universitarie e militari (of course). VCASS è figlio di Thomas Furness. Alla Armstrong Medical Research dell'Aeronautica sviluppa un simulatore di sistemi aerei ad accoppiamento visivo per il volo avanzato. Il pilota di caccia indossava un HMD che integrava i dati nel visore. Grafici e informazioni per una traiettoria di volo ottimale. È sempre Furness, con la U.S. Air Force, che rilascia il programma Super Cockpit. Integrazione delle conquiste di VCASS con comandi vocali e sistema audio integrato. Il suono si aggiungeva alla vista: era infatti possibile sentire altri velivoli provenire in cuffia da direzioni reali(stiche). I militari ci andarono a nozze. Noi, invece, proseguiamo con lo svolgersi degli eventi. 

Se fino ad ora i progetti nell’ambito della tecnologia VR si sono concentrati soprattutto su componenti hardware, è tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90 che iniziano gli sviluppi di piattaforme software. In poche parole: non solo informazioni, ma grafica immersiva (agli albori) vera e propria. E chi si inserisce in questo frangente? Il Grande Visionario che ha dato vita a saghe infinite e a un marketing talmente fruttuoso da far campare le otto generazioni successive alla sua. Signore e signori, Mr George Lucas. HABITAT è il primo tentativo di creare un ambiente virtuale multi-utente su larga scala a scopo commerciale. Chiaro? Monetizzazione. Fuori dal gioco della sperimentazione, fuori dall’addestramento militare, George mette sul piatto il denaro. HABITAT era un ambiente virtuale online. Il pc di qualsiasi utente fungeva da front-end, grazie al quale si accedeva a una visualizzazione animata di un mondo simulato in cui si poteva comunicare, giocare, innamorarsi, sposarsi, fare business e altro. Ricorda per caso qualcosa? Il buon vecchio George. Incredibile. Andiamo avanti in un flashforward 12x. Davanti a noi un uomo. Ha i rasta lunghi fino a dove non batte il sole. Cresciuto nel deserto del Nuovo Messico, ha come vicino di casa un tizio che ha scoperto Plutone (cfr: Clyde Tombaugh). Ok. Cresce, va all’università, segue con successo la facoltà di Matematica. Ha 15 anni. Come si sostenta? Perché la madre è morta e il padre è nullatenente. Beh, vende formaggio di capra. Le capre ovviamente sono sue, allevate a New York. Conosce la sua fidanzata e si trasferiscono nella Silicon Valley. Diventa amico di Timothy Leary (inventore dell’LSD). Il nostro rastaman era sicuro che la realtà virtuale (e il termine lo conia proprio lui) potesse avere un impatto sulle porte della percezione umana paragonabile a quello promosso dai primi discepoli della psichedelia. Il suo nome è Jaron Lanier. Fonda la prima azienda al mondo che sviluppa interfacce e software per la realtà virtuale, la VPL Research. È più che altro un pensatore, ma un pensatore che ha rivoluzionato le nostre vite quotidiane in silenzio. Lavora per ATARI (per la quale crea il primo art video game della storia Moondust), per Linden Lab (di cui è co creatore di Second Life) e Microsoft (sviluppa Kinect per Xbox). Fonda quattro start up comprate da Google e interviene in modo attivo nel dialogo tra uomo e virtuale partecipando a conferenze e dibattiti in tutto il mondo. Un genio. E scrive. Dieci libri che sono pietre miliari. 


“The attribution of intelligence to machines, crowds of fragments, or other nerd deities obscures more than it illuminates. When people are told that a computer is intelligent, they become prone to changing themselves in order to make the computer appear to work better, instead of demanding that the computer be changed to become more useful.”


Se questo articolo è stato un assaggio del tempo che fu della VR, nel prossimo andremo ad esplorare le sue derive odierne (ovvero degli ultimi anni). E i personaggi (o le corporate) che vi stanno alle spalle.