La travolgente scalata del voyeurismo mediatico
Scrivere di Britney Spears, per una persona nata nell’86, è una madeleine dal sapore vago. I ricordi si appiccicano agli adesivi del Cioè preso la domenica mattina in edicola, si legano ai primi MTV Music Award e si imprimono su fotografie scattate con una Kodak compatta durante compleanni preadolescenziali. Voglio fare questa premessa perché è interessante come la memoria scalzi ogni tipo di realtà a favore di un remix personale unico. Ripensare alla Spears e a un certo mondo a lei connesso, dopo 20 anni, è pura archeologia, per certi versi. I reperti però sono riemersi, con paziente dedizione altrui, nel documentario “Framing Britney Spears”, realizzato quest’anno dal The New York Times e disponibile sulla piattaforma Discovery+ (per chi volesse: https://www.discoveryplus.it/programmi/framing-britney-spears).
Piece of me
Partiamo dai ricordi personali. L’ultimo ricordo fisico che ho di lei è X Factor USA. Ma apprendo ora, con una veloce ricerca su Google, che era il 2012. Lucida, super carina, sempre affabile. Attenta ai giovani talenti, pronta alla battuta con Simon Cowell. Poco dopo pezzone con i Black Eyed Peas (Scream & Shout). Collaborazione, due anni dopo, con will.i.am per l’album Britney Jean e altra hit mondiale: Work B**ch. Dopodichè, nel mio radar personale, è sparita. Ricompariva in playlist sparate a livello sangue alle orecchie durante giornate particolarmente impegnative lavorativamente, ma nulla più di questo. Nei meme. “If Britney survived 2007, you can handle today” corredato da diapositiva del nostro soggetto in stato alterato, senza la sua folta chioma e con gli occhi iniettati di, come si può definire, risentimento satanico flambè. Qualcuno ha ordinato un TSO? Probabilmente sì perché nel 2020 scoppia l'hashtag #FreeBritney. Una bomba a mano che porta alla ribalta nuovamente la Fidanzatina d’America che, a 39 anni, si scopre essere sotto conservatorship del padre proprio dal 2007.
Lucky
Andiamo per gradi. Britney nasce a McComb, ma cresce a Kentwood, in Louisiana.
Kenwood, nella fattispecie, rientra in quell’area del sud degli Stati Uniti chiamata Bible Belt. Zone a bassa densità abitativa, con pochissimi servizi. Queste comunità vivono e si sviluppano attorno ad un unico fulcro: la Chiesa. Il protestantesimo evangelico socialmente conservatore, infatti, gioca un ruolo forte nella società e nella politica in questi Stati. I numerosi videotape di mamma Spears documentano in modo esasperante questo legame molto forte. Britney, sin dall’età di quattro anni, canta nel coro della Chiesa di Kentwood, partecipa a concorsi canori cantando canzoni inneggianti Gesù e tutto fila più o meno liscio. La famiglia non è abbiente, ci sono altri figli da crescere ma tutto sommato è il quadretto di una determinata frangia della società americana lontana dalle metropoli. La cosa evidente a tutti, però, è che Britney ha una voce della madonna. Lontana da quella attuale. Dalle prime registrazioni si nota un vibrato paragonabile a un’altra delle grandi solo singer degli anni ‘90: Christina Aguilera. Quindi. Cosa succede? La madre e Britney salgono su un treno (l’aereo costa troppo) e si dirigono ad Atlanta. La bambina ha 8 anni. Sono convinte che, a dispetto dell’età, possa entrare nel The Mickey Mouse Club. Le dicono di no. È troppo giovane, troppo acerba, bravissima ma non ha una formazione completa. Perché non provate ad andare a NY? Le due prendono un altro treno e vanno nella Grande Mela. Trovano un appartamento in subaffitto e Britney viene iscritta alla Professional Performing Arts School. Impara velocemente e partecipa a spot pubblicitari, show televisivi e al musical Off-Broadway "Ruthless!". Passano pochi anni ed è pronta. Nel dicembre del 1992 entra a far parte del The Mickey Mouse Club con dei compagni di banco di una certa caratura. La già sopra citata Xtina, Justin Timberlake e Ryan Gosling. Ci rimane fino al 1996, dopodichè il varietà viene chiuso e si ritorna a Kenwood. Nella ridente cittadina dove c’è solo Gesù.
I'm not a girl, not yet a woman
A questo punto ci si potrebbe aspettare un’escalation di chiamate, contratti, spostamenti. Invece abbiamo uno stallo. Un anno e mezzo in cui si iscrive alla Parklane Academy, scuola protestante privata, gioca a pallacanestro, ha un ragazzo e torna a casa per le feste. Normalità. Ma arriva il giugno del 1997 e decide di cestinare la vita da ragazza della porta accanto. Contatta produttori, case discografiche e personalità del mondo della musica. Deve aspettare fino al 1998, ma ce la fa. La Jive Records (una divisione della Sony Music) la vuole e la spedisce per due mesi in Svezia a registrare ...Baby One More Time. Ed è showtime. Lanciato il disco, comincia ad esibirsi nei centri commerciali. Ma la sua popolarità cresce ad una velocità incredibile.
Toxic
E qui inizia il vero problema. O meglio. All’inizio è latente. I video ufficiali dei singoli di ...Baby One More Time sono opinabili, ma rimangono nella storia. La liceale con la camicetta aperta e le francesine. La cameriera del diner che si trasforma in una ballerina dal top verde cangiante. Anno successivo Oops!... I Did It Again. Tutina rosso fuoco, iconica, totale, incredibile. Con la quale arrivano i primi problemi di sessualizzazione pressante della cantante. Primo fra tutti, e il più ovvio, è: “Ma non era una supercatto devota, sempre pronta a dire messa? E invece guarda. Pancia scoperta, tutine in latex, hit me baby one more time. Sadomaso?”. Il pubblico si fa pressante, così come i tabloid. Parte per un tour in Europa, che diciamolo, dovrebbe essere lievemente meglio della Bible Belt e via. Ti ritrovi a dover giustificare la dimensione del tuo seno a 17 anni (no jokes, tutto vero https://www.youtube.com/watch?v=rgImasn50ZU). Ma andiamo avanti. Due anni dopo si fidanza con Justin Timberlake. “Britney è vero che vuoi preservare la tua verginità fino al matrimonio?”, lei sorride e annuisce. I tabloid? Prontissimi a cavalcare l’onda.
Tutti vanno sulla fiducia, se non che il nostro giovane Justin quando viene mollato, risulta essere poco cortese. In un’intervista radio sogghigna alla domanda delle domande, lasciando poco spazio all’immaginazione. Ovviamente hanno fatto sesso. Ovviamente. In “Cry me a river”, sempre poco galantemente, scarica un quantitativo di tossicità emotiva, pari solo a Nagasaki, riversandole addosso tutta la colpa. Carino il gesto di aver chiesto scusa pubblicamente via Instagram quest’anno. Ma diciamo un attimo fuori tempo.
Andiamo avanti di qualche anno. Nel 2004 Britney si sposa con Kevin Federline. Hanno dei figli, due. I paparazzi le stanno addosso in modo pressante. C’è uno spezzone, nel documentario, in cui la cantante non riesce ad uscire di casa dalla ressa di gente che staziona davanti al suo cancello. Lei è in lacrime. Pochi flash dopo, questa fotografia fa il giro di qualsiasi testata scandalistica, qualsiasi blog, qualsiasi sito internet. “Oh mio dio, ma è una madre orrenda! Toglietele il bambino! Ma non le ha insegnato nessuno che un bambino così piccolo non può stare con lei alla guida?”
Il trend del periodo era quello di dipingerla come una madre degenere.
Continuo. Altro giro altro regalo. “Come fa una madre a lasciare i propri figli da soli e uscire, andare ai party con gente come Lindsay Lohan e Paris Hilton?”. Sulle sue gambe, direbbero alcuni. E invece no. L’America tuona “Girls Gone Bad: Celebs and Kids” ( https://www.newsweek.com/girls-gone-bad-celebs-and-kids-104717 ). L'articolo affermava, secondo un sondaggio, che il 77% degli americani credeva che queste donne avessero "troppa influenza sulle ragazze giovani". Carico di responsabilità? Lieve e modesto.
Tiro le somme brevemente per arrivare al succo della questione. Nel 2007 arriviamo al breakdown totale.
Come avete capito, non sto tentando di fare l’anamnesi della vita della Spears ma dell’esposizione mediatica che si è ritrovata a vivere. E del ruolo dei tabloid, della comunicazione a lei riservata, dei titoli e del tam tam per vendere copie.
È un caso isolato? Chiaro che no. Riguarda solo un certo tipo di approccio, poco umano, dei primi anni ‘00, dove valeva più o meno tutto? La risposta è sempre no.
Womanizer
Più di un decennio dopo, stiamo ancora una volta parlando di quelle donne, quelle nell’auto qui sopra, questa volta attraverso una lente moderna.
Lindsay Lohan, per la prima volta in vita sua, si sente un essere umano normale a Dubai. Chissà come mai? Rimandiamo una diapositiva del 2013 https://www.youtube.com/watch?v=cpi_soVq5_A. Gli Emirati Arabi, a confronto, sono un paradiso. Altro esempio, forse il più forte, di questa community di San Sebastiano al soldo della pubblica accusa è Monica Lewinsky. Dopo essere stata criticata dalla stampa per la sua relazione con il presidente Clinton come stagista di 21 anni, ha continuato a studiare e ha conseguito un master in psicologia sociale. È riemersa agli occhi del pubblico nel 2014, con un saggio e un TED Talk sulla vergogna pubblica. Cito testualmente. "Tendiamo a dimenticare l'esperienza collettiva. Dirigiamo questo tipo di vetriolo e misoginia verso una donna, ma in realtà si riverbera su tutte le donne. Siamo tutti danni collaterali, sia che ne siamo l'oggetto o meno". Touchè.
Continuo. Potrei parlare di Janet Jackson e dello scandalo del capezzolo (bannata dal music system in tre secondi e mezzo: arigrazie Justin), della morte di Whitney Houston (c-o-c-a-i-n-o-m-a-n-e), dell’attacco a Kim Kardashian durante tutte le sue gravidanze (una balena con la tappezzeria addosso) della domanda, rivolta a FKA Twigs, del perché, nel duemilaventi, non sia riuscita a scappare dalla morsa che Shia LaBeouf le aveva creato attorno maltrattandola, picchiandola e chiudendola in casa senza possibilità di uscire.
Circus
I temi sono due. Non parlerò di battaglie, non parlerò di sesso debole, non parlerò di quote rosa. Il problema è culturale. Stiamo, probabilmente, vivendo in un periodo in cui la dimensione politica del corpo di una donna sta tornando centrale. Non grazie alla Palombelli a Sanremo. Non grazie alle mimose. Grazie a una coscienza di gruppo.
Il secondo tema è il voyeurismo. E su questo, cari miei, concludo questo articolo lungo come un vangelo secondo qualcuno. Su questo tema non c’è nulla da fare. I tabloid prima, i social poi hanno accompagnato la sottile voglia, sempre viva, di farci i cazzi degli altri. Su questo punto non c’è scampo.
Andate in pace #FreeBritney (https://www.change.org/p/freebritney-46ca7212-11a3-47ee-b6ba-e214b51ff9fd qui la campagna per chi volesse aderire) .