Facebook Pixel
Marketing e Comunicazione per il Bene Comune: Perché Anche i Buoni Devono Fare la Réclame

Marketing e Comunicazione per il Bene Comune: Perché Anche i Buoni Devono Fare la Réclame

 di lettura
Socio Dirigente

C'è un momento, nel lavoro di chi si occupa di Terzo Settore, in cui ci si ferma e si pensa: "Ma davvero dobbiamo comunicare? Non basta fare bene del Bene?"
È una domanda antica e attuale allo stesso tempo, che emerge ogni volta che si pronuncia la parola "marketing" in un contesto sociale.


Lo si vede negli occhi: una piccola contrazione, come quando sta per arrivare un aggiornamento di sistema che potrebbe migliorare tutto... o bloccare l'intero computer. Eppure, oggi più che mai, il bene ha bisogno di voce. Perché il bene, da solo, non è contagioso. Ha bisogno di qualcuno che lo accompagni. Di qualcuno che lo racconti, con cura e consapevolezza.


Vorrei sapere chi di voi lettori ha l’app di Tinder scaricata sul telefono, ma non lo farò sarebbe una violazione della privacy.
Ma userò la metafora per provare a fare una riflessione più profonda.
Quanti di noi hanno mai fatto match con una causa sociale?


Comunicare nel Terzo Settore è un po' questo: non si tratta di far innamorare le persone di noi, bensì del bene che possono fare. E a differenza delle app di dating, qui il ghosting fa male davvero: ferma progetti, rallenta impatti, spegne energie.


La comunicazione sociale non deve sedurre: deve connettere.
È un algoritmo umano, fatto di fiducia, di ascolto, di presenza nei momenti che contano. Un po’ come il brodo della nonna: scalda sempre, ma non sempre profuma.
Questo per dire che nel Terzo Settore, la parola "réclame" porta con sé un'ombra di sospetto. Si teme l'eccesso, la commercializzazione, l'artificio. Eppure, se cambiamo prospettiva, ci accorgiamo che comunicare non significa "vendere", ma rendere visibile ciò che altrimenti resterebbe invisibile.


Il punto non è apparire belli. Il punto è farsi trovare.
Il bene non si diffonde da solo. Va accompagnato, curato, amplificato. Anche i buoni hanno bisogno di essere ricordati (persino Superman si veste di rosso e blu).


Il marketing lo chiama salienza: la capacità di venire in mente nel momento in cui serve. E nel sociale i momenti che contano sono tre: quando una persona decide di donare, quando decide di impegnarsi, quando decide di fidarsi.


Nessuno sceglie ciò che non ricorda. Nessuno si attiva per qualcosa che non vede.
Ecco perché anche le cause più nobili devono costruire presenza, memoria, riconoscibilità. Non per apparire. Ma per esistere nella mente e nel cuore delle persone.


Il titolo del congresso AISM 2025 è perfetto. Valore. Impatto. Fiducia. Tre parole che non si possono toccare, ma si possono percepire. Il valore non è solo ciò che facciamo, è soprattutto ciò che le persone comprendono che facciamo. L'impatto non è solo ciò che misuriamo, è soprattutto ciò che le persone sanno del nostro impatto. La fiducia non è solo promessa, è soprattutto continuità percepita nel tempo.


Tutti e tre sono intangibili. E gli intangibili vivono — e crescono — attraverso la comunicazione.


Il Terzo Settore genera un valore enorme: umano, culturale, economico e non ultimo sociale. Ma se questo valore non diventa visibile, coerente, misurabile... rimane confinato, non mobilita risorse, non crea alleanze, non attiva comunità.


Il timore più diffuso è sembrare "commerciali". Eppure non è il marketing il problema. Il problema nasce quando il marketing si stacca dall'identità: quando si racconta qualcosa che non riflette il comportamento reale, quando si rischia il greenwashing — o nel vostro caso — il goodwashing.


Una comunicazione responsabile, invece: allinea immagine e identità, protegge la reputazione (il più prezioso degli asset intangibili), racconta l'impatto sociale con autenticità e continuità.


Non serve aggressività. Serve coerenza. Serve inclusività. Serve - come diciamo in ASB\COMUNICAZIONE - qualità inclusiva, quella che sta alla base del nostro percorso certificato QDEI e che guida ogni processo, non come ornamento, ma come fondamento.


Le persone non si mobilitano per organizzazioni. Si mobilitano per storie. Lo sappiamo: le cause non hanno bisogno solo di manifesti, hanno bisogno di narrazioni che creano connessione.


Abbiamo imparato, nel nostro lavoro di campo, che: l'inclusione raccontata attraverso le persone diventa vicina, reale; l'impatto mostrato attraverso i volti, non solo i numeri, diventa tangibile; le narrazioni corali sono più potenti di quelle eroiche, perché creano comunità.


E la comunità è la forma più alta di brand resonance: non un pubblico, è un cerchio di partecipazione, relazione, reciprocità.


Le cause non hanno bisogno di spot. Hanno bisogno di relazione. E le relazioni nascono dalle storie autentiche.


Nel Terzo Settore, comunicare non significa "spiegare dopo". Significa progettare con la comunicazione già dentro. La comunicazione dovrebbe essere: parte del progetto, parte della governance, parte della cultura.


Perché la credibilità non si costruisce con ciò che dici, ma con ciò che fai in modo coerente nel tempo. E quando ciò che fai è vero, il marketing è solo un amplificatore.


In ASB\ abbiamo scelto di integrare qualità, diversità, equità e inclusione non per ragioni comunicative, ma perché è il nostro modo di stare al mondo. Il resto viene da sé.


Fare la réclame al bene comune significa amplificarlo. Il marketing non ruba autenticità. La rende visibile: funge da megafono etico.


E cosa significa?


Portare al centro ciò che è socialmente necessario ma culturalmente periferico, far emergere vite, storie, bisogni e opportunità, trasformare l'attenzione in partecipazione, trasformare la fiducia in azione.


Un messaggio ben progettato attiva la mente, che attiva il comportamento, che attiva il valore sociale. E da lì, solo da lì, nasce anche il valore economico. È un circuito virtuoso, non un compromesso.


Il bene non basta farlo. Bisogna farlo sapere. Il Terzo Settore non deve diventare commerciale. Deve diventare consapevole del proprio valore.


Il bene non è timido. Aspetta solo un bravo narratore. È il nostro compito - come comunicatori, marketer, cittadini — essere quel narratore.


Perché il bene comune non cerca una storia di una notte. Cerca una relazione stabile. Una relazione in cui le persone possano "fare match" con il bene che possono fare. E quando questo incontro accade, quando qualcuno scorre a sinistra perché vede qualcosa che lo chiama, allora sì: quello è il match perfetto.