La scuola a casa con i media digitali: insegnare e apprendere.

La scuola a casa con i media digitali: insegnare e apprendere.

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Socio Dirigente

In questi giorni di remote working (sempre connessa in video conferenza con il team ASB\COMUNICAZIONE cercando di simulare l’open office di Via dei Mille) accanto a me inevitabilmente Penelope e Giacomo, sette e quasi sei anni. Penelope, in particolare, con il suo zaino di prima elementare che non esce più di casa mi ha fatto ripensare alla mia docente di pedagogia Anna Maria Mariani quando diceva, parlando di scuola, che: “non tutto è stato inventato, non tutto è ancora stato tentato e ai nuovi insegnanti resta ancora qualcosa da scoprire e da provare per affrontare gli inesausti problemi del formare quella costante variabile che è l’uomo”. 


Nelle aule universitarie si è parlato molto in questi anni, quando non sapevamo ancora che sarebbe stata una necessità, di media education. A cosa corrisponde questo termine? è una branca delle scienze dell’educazione e della comunicazione che crea e indirizza risorse sui media, per dare sostegno all’insegnamento.


È trasversale, per sua natura. Può essere disciplina di insegnamento essa stessa e, contemporaneamente, può essere integrata, come strumento, in ogni materia per trovare e individuare spazi di approfondimento. In questo ultimo caso, è vitale che l’insegnante si prenda la responsabilità di strutturare, senza delegare, gli affondi media sui percorsi educativi prescelti. Nasce sotto questa ottica, per aiutare tutti i docenti allo sviluppo personale di capacità digitali, una nuova figura scolastica, l’animatore digitale, che è una vera e propria guida a capo del team innovazione formato dagli insegnanti.  


Il digital è ormai parte della nostra vita quotidiana. Non sto dicendo nulla di nuovo all’alba del 2020. La scuola come si è posta davanti a questa evoluzione? Chi ha un figlio sarà con me nel constatare che, a ragion veduta, il sistema educativo è ancora molto ancorato sia alla dimensione fisica sia a quella cartacea. 


Nella nostra condizione attuale, chiamiamola post mediale, i media sono portatili. Vicini. Sono quasi un’estensione del nostro braccio. Piegano il nostro linguaggio nella creazione di neologismi che hanno a che fare con azioni che si svolgono solo in campo digitale. 


Per la prima volta, la scuola si è trovata a dover fare i conti con un cambiamento forzato dovuto a una causa maggiore. Il Covid-19 ha cambiato, ad oggi, la quotidianità delle persone nel senso più ampio possibile. Il lock down casalingo ha implicato un riasset dei comportamenti consueti, uno dei quali è l’andare a lezione, per chi è in età scolare.

“Andare a” è moto a luogo. Il decreto odierno prevede solamente, analisi logica alla mano, uno stato in luogo. Quindi cosa imparano la scuola, le famiglie e gli studenti da questa emergenza? Che il digitale non è solo evasione ma anche istruzione. 


La scuola sta affrontando una grande sfida, io faccio riferimento alla mia esperienza personale su materna e primaria: videoletture sui social, conference call di classe per recuperare il piacere di una dimensione collettiva, video su youtube per didattica a distanza e, immagino, anche programmazioni con confronti tra colleghi a distanza. 


La didattica a distanza porta con sé anche la necessità di individuare il miglior modo di valutare. Non dimentichiamoci che la valutazione, insieme alla progettazione e la comunicazione, corrisponde ad una parte essenziale della didattica. Sono molto curiosa di capire come verranno affrontati i metodi di valutazione ai tempi del Covid-19. 


Il docente dovrà, innanzitutto, azzerare per quanto possibile il fattore soggettivo avvalendosi di strumenti che rispettino criteri di attendibilità (esaminatori che incrocino risultati ottenuti in momenti diversi) e di validità (la rilevazione di risultati deve essere attuata su ciò che si vuole davvero misurare). Fatto questo non dovrà solo fermarsi all’accertamento dell’apprendimento, ma dovrà anche attuare e perseguire un percorso continuativo di crescita dello studente.


Valutare non vuol dire solo misurare, vuol dire anche dare valore a ciò che lo studente sa fare, valorizzando gli sforzi.


In questi anni, ai nuovi docenti che come me hanno fatto un percorso per l’abilitazione, è stato chiesto a gran voce di superare i propri limiti a favore di uno scatto verso l’innovazione umana digitale. “Anonimi ma non di meno eroici” recitava il manuale del corso di Pedagogia. In questo momento di emergenza sanitaria, in cui le scuole non sono aperte, ci interessa guardare anche “alla parte sfiduciata del corpo docente e alle famiglie disilluse e agli studenti presunti “sdraiati”. Forse tanti, sicuramente non tutti”.  


Certo è che alla famiglia spettano compiti formativi molto differenti da quelli del sistema scolastico anche in un momento straordinario come questo. Insegnare e comunicare cultura da una generazione a quella successiva è “l’onore più alto e la più alta responsabilità che chiunque possa mai avere”. Gli eventi di queste settimane sicuramente cambieranno radicalmente la percezione delle tecnologie nel contesto pedagogico comunitario, nell’ambiente di apprendimento. Per la scuola è l’occasione giusta per mettere a sistema l’esperienza di queste settimane, assumendo sempre più il ruolo di protagonista capace di leggere le trasformazioni in atto e di reggere la sfida del presente.  


Inutile piangere sul latte versato, rimbocchiamoci tutti le maniche per colmare i gap consapevoli delle risorse limitate a disposizione dal sistema e dalle famiglie. A mia figlia che ringhia frustrata quando non riesce a fare bene un esercizio nonostante il video di spiegazione della maestra, nonostante i miei goffi tentativi di supportarla (io di insegnamento per la scuola primaria non ne so nulla), dico che è una bimba molto fortunata perché non tutti nel mondo, a differenza sua, hanno internet a casa (maestre e allievi), la stampante, un computer performante, le competenze per accedere alle risorse. Sarà un grande esercizio comunitario di creatività e flessibilità, da evitare narcisismo autoreferenziale dei singoli ricercando piuttosto una prospettiva di relazione autentica e coinvolgente. Dovremo avere molta pazienza e tolleranza oltre che rigore e passione, confidando che tutti, ciascuno a proprio modo, ce la stiamo mettendo tutta.