Sicilia, 4 luglio 1943.
L'operazione Husky è imminente, solo sei giorni allo sbarco degli Alleati. Robert Capa, buttatosi con il paracadute assieme a un gruppo di soldati americani scatterà, qualche settimana più tardi, la famosissima fotografia pubblicata su Life, ora simbolo di un'epoca: un anziano pastore siciliano, con le scarpe di stracci, che indica, con il suo bastone, la strada per Sperlinga. Accanto a lui, accucciato, un soldato americano che lo ascolta. L'anziano signore in piedi alto quanto il soldato americano accucciato. Attorno a loro solo terra brulla.
Quello stesso giorno a Bagheria nasce uno dei più rinomati fotografi italiani, il primo italiano ad essere membro dell'agenzia Magnum.
1963, nel cuore di Bagheria, vicino a Palermo, c'è poco spazio per la creatività. Ma Ferdinando Scianna, scostante studente di lettere, ha in mente soltanto la fotografia: con la sua macchina al collo non si perde una festa popolare e, scatto dopo scatto, raccoglie abbastanza materiale per allestire una piccola mostra nel circolo culturale di Bagheria. Fotografie in bianco e nero che ritraggono vedove siciliane, bambine vestite da suore, processioni con statue religiose e preti a cavallo di asini agghindati.
Lo scrittore Leonardo Sciascia per caso visita la piccola mostra e rimane folgorato da quel ritratto meraviglioso di una terra che è anche la sua. Tra i due nasce prima un'amicizia e, successivamente, una duratura collaborazione, a partire dal primo lavoro: il libro "Feste religiose in Sicilia", prefazione e testi del grande scrittore, che fa conquistare il Premio Nadar a Scianna, e lo proietta nell'olimpo dei grandi fotografi.
Si trasferisce così a Milano per lavorare come fotoreporter per l'Europeo, giornale che ha tra i propri capisaldi una grande dignità dell’immagine fotografica. Lavorando accanto a veri leader del giornalismo come Roberto Leydi, Oriana Fallaci e molti altri, Scianna impara con dedito allenamento il linguaggio del giornalista e, da questo modo di esprimersi, realizza che non vuole più limitarsi ai servizi fotografici ma vuol dare spazio alla sua libertà espressiva facendo uso anche delle parole per raccontare quel che vede: "un fotografo che scrive", non viceversa.
Nel 1977 grazie alla pubblicazione in Francia del libro “Le Siciliens” (I Siciliani), fatto recapitare con tanto di dedica a Henry Cartier-Bresson, tra i due nasce un’importante amicizia e un sodalizio artistico che rappresenta un’ulteriore svolta nella vita di Scianna. Henry Cartier Bresson, infatti, lo introdurrà all'agenzia Magnum.
Scriverà per Le Monde Diplomatique e stringerà amicizia con Manuel Vàzquez Montalban (per non staccarci troppo dalla Sicilia, il famoso personaggio letterario Montalbano di Andrea Camilleri porta questo cognome in onore dello scrittore spagnolo).
Tornato poi in Italia, Scianna lavora in maniera indipendente per giornali e realizza reportage sociali.
Milano, seconda metà degli anni Ottanta: due giovani designer e stilisti emergenti telefonano a Ferdinando Scianna, appena tornato da un viaggio in Bolivia. Il contenuto della telefonata, più o meno, è questo: "Sono Domenico, io e Stefano abbiamo visto delle foto e ci hanno detto che sono tue. Vorremmo che tu scattassi le foto del nostro prossimo catalogo".
Domenico, in realtà, è Domenico Maria Assunta Dolce, Stefano è Stefano Gabbana e, nel 1987, sono all'inizio di quella che sarà una straordinaria carriera nel mondo della moda. I tre si incontrano. Stefano, davanti alle fotografie di Scianna, sentenzia:"È proprio quello che vogliamo: il nostro look, con il tuo feeling".
Per Ferdinando, la fotografia di moda era un allontanamento sfacciato e definitivo dall’insegnamento di Bresson: “mai mettere in posa il mondo”. Decide comunque di accettare l’incarico. I soldi sono pochi: si dorme in piccole pensioni e Marpessa Hennink, la bellissima modella olandese scelta come testimonial, si "fa i capelli da sola". A Scianna viene richiesto di realizzare fotografie di moda inserendo la modella Marpessa nei contesto della sua Sicilia. Scianna riesce a mescolare magistralmente i registri visivi del mondo della moda con l’esperienza del fotoreporter, creando un risultato originale che spezza la monotonia patinata della "classica" fotografia di moda del tempo. Ferdinando dispone Marpessa istintivamente nelle stesse circostanze della sua vita, la fotografa in posti già ripresi prima, in luoghi che parlano di sé e della sua infanzia, amalgamando la capacità animosa di reporter a quella ancora a lui sconosciuta di fotografo di moda. Il risultato non può che essere sorprendente e di grande effetto sconvolgendo così una fotografia di moda che aveva bisogno di aria nuova.
La campagna sfonda. Dolce & Gabbana decollano e per Scianna è l'inizio di una lunga carriera nella moda che lo porterà a collaborare con prestigiose riviste internazionali (Vogue America, Vogue Francia, Marie Claire, Grazia e molte altre ancora) e a realizzare altri servizi di moda in cui affianca con maestria l'artificio che caratterizza l'immagine di moda e l'autenticità, caposaldo del fotogiornalismo.
Questa improvvisa ed inaspettata svolta, apre il mondo fotografico di Scianna a nuove esperienze, parallele a quelle più tradizionali del fotogiornalismo: pubblicità e fotografie commerciali, senza mai abbandonare il reportage sociale, i ritratti ed il giornalismo.
In seguito gli vengono accreditati, in relazione ai suoi servizi di moda, meriti per uno stile di fotografia innovativo nel panorama mondiale, anche se, per sua stessa umile ammissione, Ferdinando dichiara che per primo Richard Avedon e anche William Klein avevano fatto esperimenti simili verso la metà degli anni’50. Infine, il genere di fotografia di Scianna si guadagna il nome di “moda reportage” utilizzato, la prima volta, per Frank Horvat molti anni prima.
Dolce & Gabbana, con quel servizio fotografico, hanno creato un loro marchio distintivo e, allo stesso temo, un filone narrativo ripreso più volte, con altri fotografi: basti pensare Naomi Campbell nel 1992 che indossa il “carretto siciliano”, fotografata da Alfredo Albertone. O ancora Bianca Balti o l’eterna Monica Bellucci: sempre immortalate in quella Sicilia fatta di viottoli, signore vestite di nero e uomini che parlano con lo sguardo, che con l’andare del tempo, forse, è diventata parodia o caricatura di quella prima collezione dell’87.
Con questo racconto, che non vuole essere esaustivo né dimostrativo, ho cercato di mettere in atto una frase di Scianna che mi sta particolarmente a cuore e, secondo il mio sentire, dovrebbe essere estesa al modo di comunicare oggi in generale:
“La fotografia mostra, non dimostra”.
Quando la fotografia mostra, non dimostra, quando la comunicazione (e io includo apertamente anche quella pubblicitaria), sia essa visuale, scritta o parlata non vuole a tutti i costi persuaderti, convincerti, urlarti o dimostrarti qualcosa, ma semplicemente mostrare e lasciarti libero di vedere, osservare, interpretare alla luce delle tue idee, del tuo vissuto e delle tue emozioni, ecco, secondo me questa fotografia, o questa comunicazione nel senso più ampio, riesce ad agire ancor meglio e più nel profondo dell’animo umano. Quell’immagine, quelle parole, vengono vissute, masticate, interpretate.
Riescono così a penetrare e aggrapparsi nell’occhio di chi guarda o di chi legge, a fissarsi nelle orecchie di chi ascolta, in quanto il destinatario in qualche modo ne rimane folgorato, ammaliato, emozionato. Cambiato.
In questo mondo che ci avvolge di immagini e di volti, vi saluto sperando che queste parole facciano lo stesso effetto che hanno fatto a me:
"Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano" (F. Scianna)
ph. courtesy: Ferdinando Scianna