True crime binge watching

True crime binge watching

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Copywriter & Concept Writer

Alzo le mani e lo ammetto: sono una addicted.

Per ragioni che nemmeno io capisco, i documentari sul crimine sono diventati il ​​mio modo ideale per staccare. È una vibra che colpisce più o meno tutti, chi più intensamente chi meno, ma diciamo che il trend dei podcast true crime, o all’italiana giallo dramma radiofonico (come lo definisce Lucarelli) uniti alle serie tv sul tema sono praticamente il mio dolce compagno di relax da almeno due anni.

Ho macinato tutto il catalogo Netflix, quello di Starzplay by Disney+, mi sono abbonata ai canali dedicati di Prime sborsando più soldi del dovuto. Se all’inizio era un amore condiviso con la mia dolce metà, il continuum si è rivelato un piacere solitario in quanto il ribaltamento di occhi all’ennesimo “Ma ci guardiamo xxxx (inserire titolo a piacere)?” mi ha fatto capire che sarebbe stato meglio non insistere. D’altro canto è la stessa reazione che ho io quando mi viene proposta una sessione intensiva di documentari sulla ex-Jugoslavia.


Breve excursus psicologico sul tema

Con il genere del true crime più popolare che mai, è lecito chiedersi: perché siamo così presi da temi così oscuri e inquietanti? La risposta è in parte evasione, in parte curiosità morbosa. Ironia della sorte, mentre il crimine è radicato nei fatti, guardare questi racconti su eventi accaduti decenni o anche solo pochi anni fa offre uno strano senso di soddisfazione. La nostra (mia) realtà è sotto controllo e sicura e beh, nel momento in cui sto scrivendo, senza nessuna presunta violenza in atto – se non la deadline di questo articolo. Possiamo tranquillamente dire che va peggio ai protagonisti delle vicende di cui mi cibo, metaforicamente parlando. 

Pescando nei ricordi dell’esame di Psicologia I in Bicocca, sfoggio il grande Sigmund che ebbe l’ardire di dare un nome a questo sentimento. Schadenfreude: piacere dalla sofferenza degli altri. Non è sempre alimentato da intenzioni malevole, ma è semplicemente il sollievo dal fatto che sta accadendo a qualcun altro e non a noi.


Viral TikTok

Un esempio concreto di questa febbre da detective è sfociata perfino su TikTok. Sembra incredibile ma anche su questa piattaforma che, per antonomasia, accoglie argomenti/temi frivoli, il crimine ha trovato casa. Una marea di creator, anche italiani, si dedicano a cronache di delitti, cucendo montaggi a puntate con il classico effetto di dipendenza. Il punto più alto, per certi versi assurdo, di questa deriva social riguarda un evento datato Settembre 2021. Gabrielle Petito e il suo fidanzato Brian Laundrie partono a luglio per un viaggio di quattro mesi attraverso gli USA. Dopo due mesi, Brian torna a casa in solitaria dicendo che Gabrielle è scomparsa dopo una lite. La polizia si attiva, i giornali ne parlano e diventa caso nazionale. Tutta la comunità crime di TikTok, compresa ovviamente la sottoscritta, segue la vicenda nel momento stesso in cui viene accade. La triangolazione tra informazioni provenienti dai telegiornali, profili di Instagram dei due ragazzi e le loro geolocalizzazioni profilano la situazione al limite dell’ossessione. Sin dai primi momenti viene infatti presa in considerazione praticamente da tutti la colpevolezza di Brian. Cosa che poi risulterà vera, risolvendosi in una fine tragica anche per il ragazzo che si toglierà la vita ad ottobre.

Mi rendo conto, nello scrivere, di avere un vago senso di scomodità. È forse il momento di prendersi una pausa da questa fruizione ai limiti del morboso?

Posso dire a mia discolpa che questo amore nasce durante la preadolescenza (grazie a Grissom) e che in tempi non sospetti volevo fare la criminologa? Se non basta, vostro onore, andrei con il prossimo punto.


Finale a sorpresa

In questo preciso istante della mia vita sono una copy. Lavoro con le parole. Le smisto, le uso, le cestino, le riscrivo, tento di dare un senso compiuto alla realtà delle aziende che si interfacciano con ASB\COMUNICAZIONE. E fin qui niente di strano. Intendo dire: per l’uso che ne faccio, anche personalmente, le parole che utilizzo sono innocue. 

Ma se le parole potessero uccidere? Può sembrare la classica frase da storytelling estremo ma esiste un caso di cronaca vera che ne tratteggia i contorni in modo poco colorito e molto reale.  

Nel 2017 Michelle Carter, un’adolescente di 17 anni, incoraggiò il suo ragazzo, Conrad Roy III, a porre fine alla sua vita tramite una serie di SMS e chiamate. To cut a long story short: nel 2017, Carter è stata condannata per omicidio colposo, a seguito di un lungo processo che ha attirato l'attenzione del mondo, data la sua materia senza precedenti, le questioni relative alla salute mentale, alla libertà di parola e alle definizioni di crimine. Da questo fatto di cronaca sarà tratta la serie The Girl from Plainville in anteprima su Hulu questa primavera con Elle Fanning nei panni di Michelle. Il problema è solo uno. 

Non ho un abbonamento a Hulu. Ma si può sempre rimediare.